PAOLO ROSSI, IL RAGAZZO DELL’82.


Paolo Rossi non era un ragazzo come noi.
Non lo era nell’82, quando in una torrida estate italiana scoprimmo speciale una squadra normale, forgiata dalle sofferenze del girone di qualificazione e dalle immancabili polemiche.
Ci perdemmo negli ipnotici cerchi di fumo delle pipe di Bearzot e Pertini, negli effluvi dell’alcol canforato dei polpacci di Diego Armando, divorati dalla marcatura a uomo di Claudio Gentile.
E guardavamo esterefatti le lacrime di milioni di brasiliani, belli da morire, increduli di fronte a quelle maglie azzurre inopinatamente planate sui quarti di finale.
E sullo sfondo c’era lui.
Prima piccolo, fragile, con quel fisico così lontano dallo stereotipo dell’attaccante moderno.
Poi sempre più decisivo, micidiale cecchino d’area di rigore, in quello stato di grazia che accarezza e coccola solo i più grandi.
Paolo Rossi, l’arci-Italiano, con quel cognome che oggi scambieresti per un fake sui social, divenne eroe, a suon di gol, dallo psicodramma sudamericano alla passerella finale contro i crucchi, in una eterna Italia-Germania.
Paolo Rossi, il ragionier Rossi Paolo, l’eroe del Mundial, mise in bacheca anche il Pallone d’Oro, privilegio concesso ai più forti, che alcuni fortissimi non hanno mai ricevuto.
Paolo Rossi, commentatore televisivo cortese, démodé sui palcoscenici del calcio urlato, pronto a scappare verso il suo “buen retiro” nella campagna toscana, fra ulivi, vigne e silenzi.
Il male lo ha scovato lì, senza abbandonarlo più.
E il destino lo ha rimesso in campo, qualche giorno dopo Maradona.
Forse sarà stato lo stesso Diego a richiamarlo, pensando a quel Mundial, a quella sfida fra Italia e Argentina.
Datemi Paolo Rossi, avrà detto, ne farò capocannoniere sui campi del Paradiso.
Una partita da vedere e da sentire.

Col commento di Nando Martellini e Victor Hugo Morales.

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