Letture&Censure

Stavolta non sarò breve.

A quattordici, quindici anni, come negli anni successivi, leggevo molto.

Leggevo di tutto, anche “mattoni” di scarsa digeribilità, come il Capitale di Carletto Marx, o le mastodontiche biografie mussoliniane di Renzo De Felice, insieme a Pasolini, Junger, Celine, Gramsci, Pound, solo per citarne alcuni.

Andavo in libreria, compravo roba di ogni tipo agli eventi politici o nei mercatini, divoravo tomi illeggibili, opere indimenticabili e ciofeche galattiche.

Alcune di queste letture erano “maledette” per definizione, per cui trovarle in una libreria “normale” era pura utopia, ma leggerle non mi ha mai fatto sentire responsabile di quanto l’autore pensasse o cercasse di dimostrare.

Anzi, spesso accadeva l’esatto contrario.

Per giudicare una cosa, anche in negativo, è indispensabile conoscerne i contorni e formare la propria opinione.

E provare a scovare l’inscovabile era parte dell’esercizio culturale.

Compravo anche da cataloghi nei quali mi interessava un libro su diecimila, perché i restanti 9999 titoli li trovavo aberranti: spulciavo, leggevo, cercavo di capire, mi informavo.

Esercitavo uno spirito critico possibile solo quando non c’è limite alcuno, oltre a quello del codice penale (e forse neppure quello, anzi sicuramente neppure quello), quando nessuna presunta autorità costituita ti obbliga a leggere una cosa piuttosto che un’altra; la merda la guardi, la odori, la studi, per sentenziare che sì, “è proprio merda” e non puoi confonderla con la cioccolata.

E mi infastidiva che qualcuno, chiunque esso fosse, mi dicesse cosa fosse “giusto” leggere e cosa no.

Infatti ho sempre letto di tutto e formato la mia coscienza, le mie opinioni, la mia “visione” attraverso letture “trasversali”.

Non farò neppure la premessa, da scusa non richiesta, di quanto mi stiano simpatici o meno i soggetti “incriminati” che alla fine pare non andranno al Salone del Libro di Torino, tema che ha ovviamente ispirato la mia riflessione.

Penso che neppure nei loro sogni avrebbero immaginato di trarre più giovamento in termini di pubblicità dalle minacce aventiniane e dal polverone sollevato che dalla presenza stessa al Salone.

Quel che è certo è che continuo a mal sopportare i cialtroni, i pessimi libri, i pessimi esempi, le opinioni non pronunciabili, almeno quanto detesto i cattivi maestri travestiti da intellettuali, le “vestali” della democrazia e del politicamente corretto (o scorretto), i finti rivoluzionari da salotto.

E continuerò a leggere tutto, e questo tutto mi piacerebbe sempre trovarlo in libreria, alle fiere, sulle bancarelle del libro usato.

Leggere non è mai sbagliato, pensare di essere custodi della verità in assenza di contraddittorio lo è.

Sempre.

E il “tema” non è neppure il fascismo o la democrazia, perché a Torino, negli anni, pagando lo stand, hanno esposto presunti stragisti, terroristi, bombaroli, sinceri e rei confessi antidemocratici, rossi, neri, verdi, fucsia.

Il tema, pericoloso, è se il modo migliore di trattare la cultura sia quello di alzare muri e istituire “Indici”, arruolare Inquisitori, anche a fin di bene.

Non esiste la censura democratica, esiste la censura e basta.

E legittimarla significa che oggi può toccare a me, domani a te.

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