È facile fare ironia o pubblicare meme di ogni tipo per seppellire sotto una risata Luigi Di Maio, Ministro e frontman pentastellato, travolto dalla vicenda del limite di doppio mandato per gli eletti, aggirato con l’invenzione del “mandato zero”.
Facile e redditizio per gli oppositori politici, gli hater con la bava alla bocca, i milioni di Italiani senza stelle che aspettavano seduti sulla riva del fiume che passasse il cadavere del nemico.
È più complicato, ma molto utile, analizzare le ragioni profonde di una scelta che impatta in maniera devastante sull’asset principale dei nipotini di Beppe Grillo e della holding Casaleggio: la comunicazione.
A entrare in crisi è proprio quella comunicazione essenziale, feroce e immediata che ha trasformato gli elettori in tifosi; la stessa che ha riproposto suggestioni bibliche e tolkieniane dell’eterna lotta fra bene e male, nella quale i 5 stelle, ca va san dire, hanno sempre rappresentato il Bene, con la maiuscola.
Gli elettori dell’uno vale uno, dei vecchi politici ladri, dei parlamenti da aprire come scatolette di tonno, si sono risvegliati con la doccia fredda di un videomessaggio in politichese arcaico, involontariamente esilarante, in equilibrio sul filo di un gioco di parole da venditori di Colosseo: il “mandato zero”.
Uno dei cavalli di battaglia del Movimento, l’idea che a rotazione chiunque potesse propagandare il “Verbo”, si schianta frontalmente contro la realpolitik dei vertici, preoccupati dalla lentezza esasperante nella creazione di una classe dirigente locale degna di questo nome.
Da qui la trovata mascettiana di derogare, “ma solo per gli amministratori locali”, alla norma anti-professionisti della politica, la ghigliottina che impediva agli eletti per due volte di tentare la fortuna per un terzo mandato.
Un gesto disperato che si riflette nell’oceano di marginalità che la Lega di Salvini ha riservato a Di Maio & Co., puntando forte proprio su una ramificata e consolidata rete di amministratori locali di esperienza, diventati deputati e dirigenti di partito, con la corazza della vecchia scuola di partito e l’eterea solidità della sovraesposizione social del Capitano.
Un gesto disperato perché ontologicamente tale e perché comunicato malissimo, con un catenaccio alla Nereo Rocco, senza l’abilità del contropiede: tenti di fare zero a zero, ma dopo il primo gol è peggio che per Napoleone a Waterloo, con un video che diventa virale in misura proporzionale alle risate che provoca.
Sarebbe bastato, giocando all’attacco, sottolineare come il Movimento fosse assediato da mestieranti della politica (come li chiamano loro) ai quali fosse necessario contrapporre una classe dirigente vera e non raccogliticcia, gente con gli attributi, cominciando proprio da quegli Enti Locali che hanno rappresentato la prima linea a cedere nel castello di sabbia delle amministrazioni del cambiamento.
Sarebbe bastato solleticare l’animo manicheo del militante a 5 Stelle, nell’ennesima guerra di religione fra Angeli e Demoni: avrebbero capito, col sangue agli occhi e la coscienza pulita.
E invece gli enfant prodige dell’apriscatole hanno partorito un boomerang difficile da schivare, che racconta come il cinico Beppe (Grillo), orfano di papà Casaleggio, abbia scientificamente deciso di abbandonare al proprio destino Luigino e i suoi fratelli, nella migliore tradizione dei padri nobili un po’ stronzi.
In questo fischiare di pallottole, fra fuoco amico e nemico, cadono come mosche tutti i totem delle mirabili fortune pentastellate: le dirette web, la trasparenza, la cieca coerenza con se stessi, la politica pret a porter accessibile a tutti, i “mai con i ladri del PD” che diventano “aperture di Franceschini” e voti con l’establishment del Parlamento europeo.
I 5 Stelle si fanno partito, senza averne le stigmate, Casalino gioca a Risiko con la Merkel e Macron, Casaleggio junior conferma la regola che non sempre si può essere all’altezza del proprio padre, Beppe Grillo prende il sole al largo della Costa Smeralda.
Sullo sfondo la nave giallo-verde alla deriva, con Salvini che aspetta apra la Cassa per riscuotere e tutti gli altri in un cul de sac senza via d’uscita.
Chi di comunicazione “essenziale” ferisce, di meme(s) feroci perisce.