Ci piacerebbe, anche solo per qualche minuto, ritrovarci nella testa di Ivan Scalfarotto, come accadeva al protagonista del celebre film nel quale si ritrovava, in un gioco di equivoci e paradossi, nella testa di John Malkovich.
Giusto per capire quale ineffabile istinto lo abbia guidato fino alla cella di un ragazzotto americano, assassino reo confesso di un Carabiniere, col vizio della droga e con un coltello da Marines in tasca, usato per infliggere undici coltellate a un servitore dello Stato.
Ivan l’indifendibile è riuscito nell’impresa di farsi odiare da tutta Italia, dall’estrema destra fino alla sinistra piddina, dalla casalinga di Forlimpopoli fino al manager della City, senza che ce ne fosse neppure mezza ragione, senza un senso, senza un briciolo di calcolo.
Anche perché se l’intento fosse stato quello di denunciare la situazione carceraria italiana, Ivan bello di papà, ci sarebbero decine e decine di diseredati, reietti, detenuti senza paparini danarosi, che avrebbero meritato una visita, una parola di conforto, quattro righe di Agenzia.
Sono lì da anni, senza che uno Scalfarotto qualsiasi si sia stracciato le vesti per loro, forse perché non ne valeva “socialmente” la pena.
Ivan non poteva più aspettare: in preda a una crisi di astinenza da visibilità mediatica ha buttato nel cesso anni di (serie) battaglie per alzare il velo sulla difficile realtà delle carceri, tomi e tomi dedicati a questo argomento, la foto di Cesare Beccaria, quella di Marco Pannella, la tessera del PD, le sue, di Scalfarotto, battaglie per i diritti civili.
Voleva dire “una cosa di sinistra”, pover’uomo, ottenendo il risultato di essere considerato dai suoi compagni uno stronzo che fa “intelligenza” con il nemico forcaiolo, con l’homo salvinianus, con i portatori sani e insani di bisogno di sicurezza.
Bravo, Ivan.
Fior di intellettuali, da Foucalt a Stirner, dal citato Beccaria a Cesare Pavese, fino a ex terroristi come Sofri, Francesca Mambro e Annalaura Braghetti, tutti a interrogarsi e interrogare sulla certezza della pena, sulla funzione vera o presunta della detenzione, sulla sua umanità, e poi arriva lui: si sveglia una mattina e preme il tasto reset, scegliendo come casus belli tali Elder e Natale, due balordi che del carcere hanno ancora sentito solo l’odore acre della libertà costretta, certo non le deviazioni del Sistema.
Cosa ti passa per il cervello, benedetto ragazzo?
Voleva dire qualcosa di Sinistra e ha finito per parafrasare a maleficio della propria parte politica un altro tormentone preso in prestito dall’immaginario dei film di Nanni Moretti: “continuiamo così, facciamoci del male”.